Il nostro articolo sul Corriere del Ticino: Bitcoin e il Ritorno di Trump

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, nelle capitali di mezzo mondo ci si interroga su come cambieranno gli equilibri politici ed economici globali. Tra i temi noti, si prevede il ritorno di dazi doganali protezionistici, pressioni sugli Stati europei per incrementare il budget destinato alla difesa e una possibile apertura dei parchi naturali statunitensi alle trivellazioni. Tuttavia, c’è un altro aspetto della politica di Trump che potrebbe avere un impatto considerevole a livello globale: il suo approccio al Bitcoin. La visione di Trump sulle criptovalute è cambiata radicalmente, seguendo una traiettoria non dissimile da quella di altre figure di spicco, come Larry Fink, il potente CEO di BlackRock. Nel luglio 2019 Trump aveva dichiarato pubblicamente su quello che ancora si chiamava Twitter di non essere un fan di Bitcoin o delle criptovalute, ritenendole prive di valore reale e intrinsecamente instabili. Tuttavia, a distanza di cinque anni, durante la campagna elettorale del 2024, si è presentato alla conferenza Bitcoin di Nashville con un messaggio ben diverso. Ha promesso, in caso di vittoria, di adottare diversi provvedimenti a favore di Bitcoin, tra cui quello di licenziare Gary Gensler, l’attuale presidente della SEC, noto per aver avviato numerosi procedimenti contro società operanti nel settore blockchain, e di trasformare l’America in un hub globale per le imprese attive nel settore cripto. Ma le sue dichiarazioni non si sono fermate qui: Trump si è anche impegnato a creare una riserva strategica nazionale in Bitcoin, aggiungendo ulteriori quantità alle riserve già in possesso del governo statunitense, derivanti da sequestri dei proventi in Bitcoin di attività illegali. Questa proposta rappresenta una politica diametralmente opposta a quella adottata, ad esempio, dalla Germania, che nell’estate del 2024 ha venduto 50.000 Bitcoin sequestrati nel corso di un procedimento penale.

Subito dopo questa affermazione, la senatrice repubblicana Cynthia Lummis ha avanzato una proposta di legge per l’acquisto di un milione di Bitcoin (su un massimo di 21 milioni esistenti) in cinque anni. Con i repubblicani al controllo, seppure con una maggioranza risicata, dei due rami del Congresso, e con Trump circondato da consiglieri pro-Bitcoin come il vicepresidente J.D. Vance ed Elon Musk, l’ipotesi che questa legge venga approvata non è da escludere. Se ciò dovesse accadere, gli Stati Uniti potrebbero divenire la prima grande potenza mondiale a detenere il 5% dell’offerta totale di Bitcoin. Per comprendere la portata di questa scelta, basti considerare che attualmente gli Stati Uniti possiedono circa il 4% delle riserve auree mondiali. Anche se al momento poco probabile, il fatto che una potenza mondiale come gli Stati Uniti stia valutando l’adozione di Bitcoin come riserva strategica obbliga gli altri Stati a considerare le proprie misure nel caso questo scenario si realizzasse. I Paesi colti di sorpresa potrebbero trovarsi in difficoltà qualora la «scommessa» di Trump risultasse vincente e Bitcoin venisse riconosciuto come riserva di valore al pari dell’oro. Un simile scenario potrebbe minare il controllo delle banche centrali sulle politiche monetarie tradizionali: Bitcoin, essendo decentralizzato e non regolabile, potrebbe limitare l’efficacia di strumenti quali il controllo dei tassi d’interesse o il quantitative easing, costringendo le banche centrali a ridefinire il proprio ruolo nell’economia digitale emergente. In sintesi, l’acquisto di una quota significativa di Bitcoin da parte degli Stati Uniti rappresenterebbe un cambiamento epocale, potenzialmente capace di ridimensionare il potere delle banche centrali e, di riflesso, degli Stati stessi.

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